Aggiungo un estratto dal libro “Alpinismo eroico”, con le parole dello stesso Comici
Dal libro “Alpinismo Eroico” dedicato ad Emilio Comici – Hoepli Editore
7-8 SETTEMBRE 1933
“Riposai alcuni giorni dopo la scalata della parete Nord della Cima Grande di Lavaredo. In quel riposo ideai di compiere un’altra impresa del genere: scalare lo Spigolo Giallo della Cima Piccola di Lavaredo, o meglio l’Anticima, che alla vetta propriamente detta è unita mediante una sella o spalla.
“Intollerabile” – scrive il Berti nella sua magnifica Guida delle Dolomiti Orientali – “il caratteristico enorme strapiombo giallo sfuggente sotto l’obelisco di incredibile snellezza, sottile come una lesina, dell’Anticima sud”.
“Lo spigolo Giallo limita quello strapiombo a destra.
Io non saprei descriverlo. Sembra il tagliamare di un fantastico transatlantico arenato su quel mare di ghiaie, oppure il vomere di un ciclopico aratro, oppure il filo di una spada arroventata che per oltre 330 metri si stagli fuori da enormi strapiombi gialli.
Non so se qualcuno abbia pensato prima di me a salire su per quello spigolo. Ma per me essa era la via esteticamente più logica, anche se praticamente la più inverosimile. Ma già altre volte ho detto, che in noi alpinisti il sentimento dell’arte è superiore a qualsiasi considerazione di praticità e di convenienza. Dunque era quella una via ideale da percorre.
I miei compagni furono: la signora Mary Varale di Milano e Renato Zanutti di Trieste.
E’ con essi che ho superato lo Spigolo Giallo, compiendo l’arrampicata più aerea, più esposta che si possa immaginare: perché lo Spigolo è veramente affilato come un tagliamare, un aratro, una spada e continuamente strapiomba, e il vuoto incombe non solo sotto l’arrampicatore, ma anche a destra e sinistra, e lo sguardo non si riposa più sulle rocce, ma continuamente si perde nell’aria.
Due giorni di furibonda lotta abbiamo vissuto su per quello Spigolo, quando lo cavalcammo aggrappati ad appigli microscopici, quando esso si difendeva facendo crollare fiumane di sassi, che cadendo sulle ghiaie sottostanti scoppiavano come cannonate, e mettevano in fuga i curiosi che erano accorsi dal Rifugio a godersi lo spettacolo delle tre lucertole umane striscianti su per esso, lentissime…
[…]
Non insisto sulle difficoltà superate in questa, per me, grandiosa scalata, perché dovrei ripetere quello che ho già tante volte detto o scritto.
Un fatto desidero notare: il grande, per non dire principale elemento, che per la riuscita di una di queste ardue scalate è rappresentato dalla scelta dei compagni di corda.
In questo caso il merito principale io lo rendo alla mia compagna Varale. Non si creda che io dica ciò per sentimento di cavalleresco omaggio ad una donna, o perché essa forse sia avanzata in testa e con un colpo di audacia abbia superato il pezzo in cui consiste, come si sul dire, “la chiave della salita”. No. Utilissima essa ci è stata durante la estenuante ascensione, mantenendosi sempre vigile e attenta; ma il suo maggior merito è stato l’incoraggiamento affettuoso e tempestivo nei momenti più critici. Forse senza il so continuo ausilio morale, noi avremmo battuto in ritirata sfiduciati.
Il merito poi del secondo di cordata, in ascensioni simili, non solo è grandissimo, ma è decisivo. Quando si ha la fortuna di avere a compagno un Renato Zanutti, il quale oltre alla tecnica perfetta possiede la intuizione del momento e capacità morali e atletiche superbe, si può avanzare con l’animo tranquillo.
Se egli non fosse un arrampicatore di classe superiore, non sarebbe salito per ultimo, facendo certe traversate lunghissime sulle quali la punta del piede poggiava appena su esili liste di roccia, e poi sostenendosi a forza di braccia sui gradoni sporgenti. Quale aiuto ha mai, il secondo di corda, quando questa non proviene dall’alto, bensì di fianco, e per effetto degli strapiombi è distaccata di qualche metro dalla parete? Guai, se io avessi tirato la corda: lo avrei strappato dalla parete! Egli sarebbe andato a sbattere sul filo dello spigolo ammaccandosi o ferendosi, col risultato di rimanere sospeso nel vuoto senza la possibilità di essere tolto dalla disperata posizione.
Tutti coloro che vogliono provare la soddisfazione delle grandi scalate, è bene pongano massima cura nella scelta dei compagni! Questi devono possedere al più alto grado possibile qualità atletiche e morali.
Il compagno deve avere sempre pronta una parola d’incoraggiamento, che possa rinfrancare il capocordata negli sforzi tremendi che deve sostenere, e deve essere in ogni frangente disposto a qualsiasi sacrificio.
E’ solo così, che si rinsalda il vincolo che di due o tre uomini, legati alla medesima corda, fa un essere solo, più forte della morte che guata ad ogni passo.
E’ solo così, che fra tutte quelle rupi aspre e selvagge, nella severa solitudine della Montagna, puoi sbocciare e vivere il fiore della bontà e della fratellanza”.